8/27/09

La Guerra Civile in Liberia - scempio ed esempio dell'Africa Occidentale

Introduzione

L'esperienza della guerra in Liberia permette di analizzare diverse caratteristiche che sono state spesso generalizzate a tutto il continente africano. Con la sola eccezione del colonialismo che non fu mai formalmente applicato, il processo storico liberiano (dall'esistenza stessa dello Stato fino alle conseguenze tipiche della logica della Guerra Fredda, dalle cause alle operazioni di guerra) ripresenta alcuni leit-motives tipiche di tutta l'Africa Occidentale: la logica neo-patrimoniale dello Stato, la politicizzazione della diversità etnica, il cleavadge capitale-periferia con l'assoluta centralità della prima a scapito della seconda, gli effetti destabilizzanti della fine della Guerra Fredda.
Il fine di questo lavoro consiste non nel demistificare questi concetti, ma nel re-inserirli all'interno di un contesto preciso e definito, per coglierne maggiormente sia punti di forza sia debolezze.
Sotto il profilo metodologico, si preferirà un approccio storicamente lineare in cui particolari eventi storici verranno interpretati con la lente dei suddetti concetti.





1. Monrovia, il proto-neo-colonialismo e Washington

La storia della Liberia riveste una sua peculiarità: rimane il più antico Stato – comunque esternamente creato – dell'Africa Occidentale. Venne, infatti, istituito nel 1847 come insediamento per gli schiavi Americani liberati. Anche se ufficialmente la Liberia non è mai stata una colonia, Washington ha sempre avuto una forte influenza sia economica che culturale su Monrovia. Un'influenza quasi-colonialista, che si manifesterà in maniera più marcata soprattutto a partire dal 1980, quando, il 12 aprile, Doe prese possesso delll'Executive Mansion, sede del Capo di Stato e “il” simbolo di potere cui intorno ruoteranno obbiettivi e corso della guerra. L'amministrazione americana riconosce sin da subito la natura non propriamente democratica del nuovo leader liberiano, mantenendo comunque i canali diplomatici aperti sia con Carter che con Reagan. Ma altrettanto velocemente rimane fedele al principio realista per cui è opportuno non tanto guardare agli obiettivi e alle politiche interne dei numerosi 'amici' americani (che rientrano nell'ambito della sovranità interna), ma – piuttosto – alla loro effettiva 'amicizia' e disponibilità, almeno fino a quando queste potranno essere di un qualche interesse politico-economico-militare per Washington. Infatti, l'unico obiettivo di Doe – quello di liberare il Paese dalla cricca Americo-liberiana – si realizzò proprio il 12 aprile. Reali programmi di cambiamento non furono mai adottati e Doe perpetuò il sistema patrimoniale. Verificate le scarse attitudini rivoluzionarie del leader liberiano, ed accertatisi della sua fedeltà, le amministrazioni americane continuarono a 'sussidiare' il governo di Monrovia.
Lo stretto legame storico-culturale tra US e Liberia è poi ulteriormente confermato dalla particolare situazione liberiana, che non ha mai vissuto una seria minaccia comunista durante il corso della Guerra Fredda. Monrovia ha ricoperto – con alti e bassi – il ruolo di fulcro per la presenza americana in Africa. Rimasta sempre fedele alla 'madrepatria', Monrovia ha beneficiato dei numerosi vantaggi economici ottenuti concedendosi come avamposto per le politiche africane di Washington: durante la Guerra Fredda, la Liberia era la prima meta (nell'Africa sub-sahariana) degli aiuti diretti americani. In cambio, gli Stati Uniti – consci della remota minaccia comunista nel Paese – ottenevano importanti concessioni strategiche, tra cui: l'installazione necessaria per la trasmissione di Voice of America; l'installazione del trasmettitore Omega per la guida di tutte le navi americane nell'Oceano Atlantico; nonché, l'utilizzo degli aeroporti a fini anche militari.
Conseguentemente, anche se non v'era stata alcuna formalità coloniale, anche se non v'era alcuna disputa Est-Ovest (o segnali che potessero prevederne i rischi), i legami che hanno segnato i rapporti tra Washington e Monrovia sono stati caratterizzati da una netta diseguaglianza: con la seconda che si riteneva libera (come in effettivamente era) di poter compiere atti di qualsiasi tipo – colpi di stato, elezioni truccate, brutale violenza su civili inermi – ma con il solo limite di non toccare gli interessi americani, che – oltretutto – erano più regionali che nazionali. Il legame neo-coloniale (che in termini storici potrebbe essere definito come 'post-Guerra Fredda') fu particolarmente visibile proprio a partire della dittatura di Doe – poi camuffata dalla volontà popolare delle elezioni di facciata indette per il 1985 – e continuò con l'invasione del National Patriotic Front of Liberia (NPFL) di Charles Taylor (1989) e dalla successiva guerra civile. Il carattere 'rivoluzionario' della presa di potere di Doe fu assecondato dagli US, come confermato dalle parole di Chester Crocker, Assistente Segretario dell'amministrazione americana per gli affari africani tra il 1981 ed il 1988: “I consider the revolution of 1980 to have been a revolution, and the previous regime to have been an aristocracy. It was the first experience of democracy for Liberians”(1). Se l'approccio statunitense non può essere criticato di per sé, è credibile che il supporto pressoché illimitato alla realtà statale liberiana – e non moralmente-eticamente dipendente dal Governo che la controllava – ha fatto sì che i leader liberiani si muovessero con estrema libertà sul contesto interno, facendo sì che i loro interessi personali non andassero a compromettere i finanziamenti americani (si vedano, per l'appunto, l'aumento di finanziamenti americani alla Liberia durante il periodo dell'amministrazione Doe(2)).
Conseguentemente, se il dollaro statunitense è riuscito a mantenere in vita lo stato liberiano durante il duopolio Tubman-Tolbert, la dittatura di Doe e la successiva guerra di Taylor, essi non sono riusciti a cancellare le istanze di un popolo in miseria (non solo in termini monetari).
Istanze che – a turno – sono state abilmente manipolate da leader quali Doe e lo stesso Taylor, e che si sono tradotte nel colpo di stato del 1980, nelle paranoie di complotto durante l'amministrazione Doe, e nella guerra per il controllo del potere di Taylor. Dunque, l'approccio statunitense alla questione liberiana se è stato effettivamente 'benevolo' ed ha assecondato la politica interna, dall'altro non ha mosso alcun passo per evitare le violenze, le condotte immorali dei Governi, l'arricchimento personale dei suoi leader, e l'ampio spargimento di sangue iniziato nel 1980 e continuato, a fasi alterne, sino al 1997.

2. Colpi di stato e guerra, rancori e illusioni

Il Paese è composto da numerosi gruppi etnici (3), ma nessuno di essi costituisce una maggioranza numerica rilevante, disegnando – dal punto di vista meramente matematico – una mappa equilibrata delle diverse etnie presenti. Ovviamente, la stessa mappa non si può disegnare se si travalica il fattore numerico e si vanno ad analizzare le influenze socio-economiche dei diversi gruppi. Sin dal Diciannovesimo secolo, gli Americo-Liberiani costituirono una sorta di oligarchia politico-economica (costituendo all'incirca il solo 2% della popolazione totale). L'evoluzione storica del loro dominio parte dal True Whig Party lungo tutto il Ventesimo secolo ed arriva sino alle presidenze di Tubman (1941-1971) e di Tolbert (1971-1980).
Grazie ai forti legami culturali con Washington e alla logica della Guerra Fredda, Monrovia e l'élite Americo-Liberiana beneficiarono di una marcata politica della 'porta aperta', nonché di numerosi finanziamenti economici. Come in altre realtà dell'Africa sub-sahariana, politiche neo-patrimoniali e personalistiche portarono ad una iniqua e diseguale distribuzione dei frutti derivanti dalla prosperità economica. Infatti, in un sistema patrimoniale, le classi politiche costruiscono e perpetuano il loro potere sulla base di una redistribuzione delle risorse effettuata su base personale ai loro sostenitori. Risorse e servizi redistribuiti sulla base di una logica burocratica o di responsabilità amministrativa sono relativamente pochi. Le relazioni patrimoniali e clientelari si sviluppano come segue: i clienti assicurano il loro sostegno politico ai cosiddetti patroni, nella speranza di poterne beneficiare in futuro; i patroni, dal canto loro, devono assicurare risorse e/o servizi al cliente, favorendo la costituzione di una rete clientelare come meccanismo di sicurezza.
Il controllo del settore pubblico diviene – dunque – una prerogativa fondamentale e difficilmente surrogabile. Come confermato dallo stesso Samuel Dokie (4): “The problem in Africa is that because of underdevelopment in the regions and the centralization of power, the only way to make money is in politics. When the people don't see politics as the only way to get rich, then things will change.”(5)
In un siffatto contesto, etnia e classe sociale tendono a sfumare sovrapponendosi. La lotta sociale si trasforma in lotta tra etnie, attraverso la politicizzazione – più o meno indotta e manipolata dalle élites – delle stesse etnie. In Liberia, etnia e classe sociale iniziarono a sovrapporsi, il tutto a vantaggio proprio degli Americo-Liberiani, che gestivano il commercio insieme all'etnia Mandingo. Il potere quasi settario degli Americo-liberiani non poteva non generare motivi di revanche o una certa frustrazione nelle altre etnie, che si sentivano distaccate sia dalla fibra statale sia dai benefici economici che derivavano dalla favorevole congiuntura economica globale (almeno fino agli anni Settanta). Una frustrazione economica che ha assunto una sua caratteristica etnica a seguito della struttura neo-patrimoniale dello Stato, nonché dalle conseguenti personalizzazione del potere e politicizzazione etnica.
Tali rancori si sono manifestati ben prima dell'invasione di Charles Taylor del 24 Dicembre 1989. La storia degli scontri per il controllo del potere sono tanto antichi quanto la storia dello Stato stesso. Tuttavia, come prevedibile, a seconda delle condizioni sia interne (relativa prosperità economica, effettivo controllo del potere da parte dei governanti, relativo funzionamento delle reti clientelari) che estere (equilibri regionali in Africa occidentale, rapporti con Washington) gli scontri sono stati più o meno cruenti ed hanno avuto esiti differenti.
Lo stesso Sergente Maggiore dell'esercito Samuel Doe è 'figlio' di un colpo di stato (1980) messo in atto per mettere fine all'oligarchia Americo-liberiana. Doe era, infatti, un membro del gruppo etnico dei Krahn (5 per cento della popolazione liberiana). Se le prerogative del colpo di stato erano proprio quelle di mettere fine al sistema oligarchico americo-liberiano, il regime militare di Doe non fece altro che perpetuare gli stessi vincoli socio-economici, ma – questa volta – in favore dell'etnia Krahn. L'etnicizzazione delle cariche pubbliche fu particolarmente forte proprio nell'esercito, dove la percentuale di soldati Krahn nelle Forze Armate della Liberia (AFL – Armed Forces of Liberia) crebbe sensibilmente.
Dopo le organizzate, orchestrate e controllate elezioni del 1985 (in cui fu verosimilmente Doe il trionfatore), le tensioni crebbero ulteriormente quando Quiwonkpa – Capo dello Staff di Doe – tentò e fallì un ulteriore colpo di stato. Per comprendere in maniera più chiara l'influenza di Washington su Monrovia può essere utile richiamare un aneddoto riguardante il fallito colpo di stato. I piani di Quiwonkpa prevedevano – in caso di successo – la nomina di Fahnbulleh, figura di spicco del Movimento per la Giustizia in Africa (MOJA con l'acronimo inglese), a capo di stato. Quiwonkpa informò l'amministrazione americana (e anche quella israeliana) dei suoi piani e – quantomeno inizialmente – la reazione fu molto positiva. Tuttavia, le intenzioni americane ritenevano la primavera del 1985 una data troppo vicina per un rovesciamento governativo. Così, funzionari dell'ambasciata americana informarono Doe del piano per un colpo di stato a suoi danni e – intuitivamente – il colpo di stato fallì venendo a mancare il fondamentale elemento della sorpresa. Quiwonkpa, arrivato a Monrovia, fu catturato, torturato, castrato, smembrato e parti del suo corpo furono mangiate pubblicamente dalle vittoriose truppe di Doe. Una violenza efferata che si ripeterà frequentemente durante la guerra e di cui Doe da carnefice divenne vittima quando 'Prince' Johnson, leader del Independent National Patriotic Front of Liberia (INPFL), uccise e filmò Doe, ponendo fine alla sua dittatura (6).
Al colpo di stato di Quiwonkpa seguì un periodo di repressione particolarmente cruento da parte del Presidente liberiano, soprattutto nella regione di Nimba County, di cui era originario Quiwonkpa e principalmente abitata da popoli di etnia Gio e Mano. Essendo la regione della Liberia più densamente popolata iniziò anche un primo importante flusso di rifugiati verso i Paesi vicini. Il fallito colpo di stato di Quiwonkpa non fece altro che esacerbare le paranoie complottistiche di Doe. Egli avviò un'epurazione – non solo politica – di funzionari percepiti come avversi.
La stessa sorte era già toccata a Charles Taylor. Quando Doe prese – attraverso la violenza – gli incarichi presidenziali, Taylor fu nominato a capo della General Services Agency (GSA), l'agenzia responsabile per l'assegnazione delle proprietà governative ai rispettivi ministeri. Nel 1983, dopo diverse screzi tra Doe e Taylor – da attribuire alle diverse reti clientelari, con il secondo rappresentante degli Americo-liberiani – quest'ultimo fu rimpiazzato da Momolu e gli fu assegnato il ruolo di Vice-Ministro del Commercio. Momolu avviò subito un'investigazione riguardante la gestione delle finanze del GSA e Taylor fu pubblicamente accusato di diverse scorrettezze. La reazione di Taylor – visti anche i suoi legami con Quiwonkpa – fu scappare dal Paese, dato anche il clima politico particolarmente teso, rifugiandosi prima in Costa d'Avorio, poi in Francia ed infine negli Stati Uniti d'America.
Da qui – ma con diversi viaggi, anche dovuti a problemi con la giustizia americana – Charles Taylor iniziò a costituire quella rete informale di finanziamenti, logistica, campi d'addestramento, e rifornimento militare che gli avrebbe poi permesso l'invasione della Liberia dalla Costa d'Avorio (7).




3. The Importance of Being Monrovia

Un piccolo gruppo di combattenti invade la Monrovia dal confine con la Costa d'Avorio, attaccando il villaggio di Butlo, nella Contea Nymba, la Vigilia di Natale del 1989. La tattica utilizzata era quella tipica dei movimenti di guerriglia, visto proprio l'esiguo numero di soldati e lo scarso equipaggiamento, con rapide incursioni nei villaggi – in cui venivano colpiti sia ufficiali sia civili – e successive coperture nella foresta. La scelta della Contea Nymba non era stata ovviamente casuale, viste le origini di Quiwonkpa ed i successivi rastrellamenti di Doe. Conseguentemente, il NPFL cercò e trovò supporto – sia diretto che indiretto – tra la popolazione locale.
Sin dalle prime azioni del NPFL e dell'esercito AFL si percepisce una quasi assoluta mancanza di strategia ed un'anarchia per ciò che concerne gli obbiettivi politici della lotta. Il NPFL, il cui unico iniziale collante era la destituzione di Doe, si spacca – con il passare del tempo - in diverse fazioni, la più importante della quali era l' Independent National Patriotic Front of Liberia (INPFL) del violento 'Prince' Johnson. Dall'altro lato, l'Esercito Liberiano si manifesta in tutta la sua inefficienza e mancanza di disciplina: i soldati si spostano di villaggio in villaggio compiendo atti di saccheggio, incendi, e punizioni sommarie di civili accusati di supportare i ribelli. Queste azioni trasformano la percezione delle popolazioni civili nei confronti del NPFL, reinterpretato com il male minore. Charles Taylor – forte del supporto (o, quantomeno, passività) popolare – muove il Fronte verso la costa, ampliando e migliorando l'equipaggiamento grazie al supporto Libico e a rapide incursioni contro l'Esercito per catturare armi.
Nei primi di Luglio si fa già chiaro in cosa consiste l'unico obiettivo in una guerra che vede diverse fazioni scontrarsi e dividersi, cambiare 'divise', ed agire senza un piano politico: l'obiettivo primario rimane la destituzione di Doe e questo prevede l'arrivo alla Executive Mansion, in Monrovia, centro di potere politico ed economico. Si fa chiaro che l'obiettivo è meramente il controllo del potere.
Per comprendere meglio l'evolversi della guerra civile, è necessario sottolineare l'importanza politica, economica e finanziaria di Monrovia. In generale, il ruolo della capitale nei Paesi africani dove clientelismo, corruzione e personalizzazione della politica sono alla base dei rapporti politici è di fondamentale importanza. Controllare la capitale vuol dire controllare il Paese. Monrovia diventa il centro di potere, decisionale ed esecutivo, del sistema nazionale patrimonial-clientelare. Per gestire la 'rete' è necessario il controllo della capitale (cui – eventualmente – si aggiunge il controllo delle aree strategiche, quali quelle di estrazione mineraria). La conquista della capitale ha comunque le maggiori implicazioni sul piano estero: accordi commerciali, economici e finanziari vengono stipulati a Monrovia. Il 'sistema-stato' Liberia si mantiene in vita grazie all'asse che Monrovia stabilisce con Washington (Governo statunitense, Fondo Monetario Internazionale e Banca Mondiale), con i partner regionali e con altri Stati (prima tra tutti, la Libia) per l'ottenimento di aiuti e finanziamenti che poi garantiscono una certa sicurezza interna attraverso la redistribuzione delle risorse secondo logiche di tipo patrimoniale. Tuttavia, il controllo di questi network richiede un'ampia disponibilità di risorse che Doe – vista la parziale neutralità statunitense, la crisi economica, e la fine della Guerra Fredda – non riusciva più a garantirsi.
In tal senso va interpretata la marcia dei 'separati-in-casa' 'Prince' Johnson e di Charles Taylor, che, dopo la scissione, seguono un percorso parallelo verso Monrovia. Qui le tre fazioni si scontrano spingendo indietro i rispettivi avamposti, nel tentativo di guadagnare terreno, con l'INPFL che controlla la parte Nord ed Ovest della città.
Siamo nell'agosto del 1990 e lo scontro si trasforma in stallo. L'obiettivo è l'Executive Mansion di Doe, ma – viste le equilibrate forze in campo e il contesto regionale ed internazionale – gli scontri tra fazioni si trasformano in una convivenza armata fatta di azioni e rappresaglie, in cui è la popolazione civile ad avere la peggio. Ad eccezione di limitati scontri frontali, la violenza dei due gruppi si concentra sui civili – sempre più interpretati in chiave etnica. Se gli scontri continuano nelle periferie della Liberia, dove ormai la presenza dello Stato è pressoché inesistente, nella capitale la situazione è relativamente più calma, visto l'arrivo il 24 Agosto della missione di peace-keeping dell' ECOWAS (Economic Community of West African States), nominata ECOMOG (ECOWAS Monitoring Group). Questo provoca un enorme afflusso di rifugiati verso la capitale, causando una profonda crisi umanitaria.
Cerchiamo dunque di vedere come il passivo interventismo americano e la missione ECOMOG spingono il prosieguo della guerra ad un vicolo cieco. Sin da luglio, l'attività diplomatica statunitense aveva spinto per persuadere Doe a lasciare il Paese, trovando nel Togo l'alleato che avrebbe ospitato il leader africano. Tuttavia, quelli che Doe riteneva fossero i suoi legami con Washington, dalla capitale americana gli stessi erano ovviamente interpretati come i legami statunitensi con la Liberia (non con la persona Doe, ma con la carica politica che questi ricopriva). Di conseguenza, gli USA presero le distanze dalle violenze e dagli abusi delle Forze Armate Liberiane (AFL) e allentarono fortemente quel supporto economico-finanziario-logistico vitale per il dittatore Doe. Tuttavia, Washington non poteva neanche supportare apertamente Taylor, visti i suoi legami con la Libia (che Taylor, però, continuava intelligentemente a negare – presentandosi agli occhi degli Stati Uniti come un partner affidabile nella gestione della Liberia). Il mancato supporto di Washington colse Doe di sorpresa, ma si rifiutò fino alla fine di lasciare il Paese. Questo provocherà inizialmente gli scarsi successi militari dell'AFL nella difesa del Paese e, infine, la violenta e spettacolare morte di Doe.
L'intervento dell' ECOWAS con l'Operazione Libertà prolungò l'agonia di uno governo collassato e non in grado di controllare il territorio. L'operazione era supportata da Gambia, Ghana, Guinea, Nigeria (la potenza regionale e militare con circa l'80% di personale e budget), e Sierra Leone. Sin da principio la rivalità tra Paesi anglofoni e francofoni fu molto forte all'interno della missione, con vari riequilibri di forze nel corso delle operazioni. La rivalità ha decisamente indebolito la catena di comando e controllo, rallentando ed impedendo un pieno rispetto dei vari accordi di pace (Bamako, Banjul, Lomé, Cotonou, Akosombo). Oltretutto, Burkina Faso e Costa d'Avorio – membri dell'ECOWAS – supportavano Charles Taylor e contrastavano il predominio nigeriano, indebolendo la posizione neutrale dell'organizzazione nella missione. Se inizialmente la missione rimaneva di peace-keeping (neutralità, uso delle armi a soli fini di difesa – individuale e non della missione, monitoraggio del cessate-il-fuoco), essa si trasformò a fasi alterne in una missione di peace-enforcement. A difendere una posizione meno disinteressata era proprio la Nigeria di Babangida che, contrastando l'influenza francese nell'area e amico vicino di Samuel Doe, sentì la destabilizzazione della Liberia come una seria problematica non interna, bensì regionale. E le successive crisi nell'area (Sierra Leone, Guinea e Costa d'Avorio) – in parte dovute al conosciuto 'spirito di emulazione' della rivolta di Charles Taylor, presentata e rappresentata come la rivolta del popolo oppresso contro regimi dittatoriali o militari – confermeranno i suoi presentimenti.
Scomparsa la figura di Doe – in balia dei dubbi statunitensi e ormai sostituto dalla stessa missione dell' ECOWAS – erano Charles Taylor e le figure militari-diplomatiche dell' ECOMOG i protagonisti fondamentali della disputa, con la passiva ombra di Washington che poteva agire da pesante ago di una bilancia estremamente equilibrata. L'asse dello scontro si sposta dunque tra i contendenti NPFL ed ECOMOG. I due attori si scontrano diverse volte con attacchi sia di terra, che navali (principalmente i ribelli), che aerei (ECOMOG). Il 10 settembre un controverso episodio cancella l'attore principale degli ultimi anni di storia liberiana: Samuel Doe, in visita al Quartier Generale della missione ECOMOG, viene catturato, seviziato, torturato e registrato in video dalle truppe di 'Prince' Johnson. L'evento ricambia nuovamente gli equilibri con – sul piano interno – NPFL in confronto diretto con il INPFL di Johnson. Monrovia era principalmente controllata da Johnson e dalle forze ECOMOG, conseguentemente Charles Taylor – cui era stata smorzata diverse volte l'entrata nella capitale – controllava la gran parte del territorio liberiano. Taylor riuscì, attraverso la rete clientelare che si era costituito, a controllare commerci (porti ed aeroporti), vie di comunicazione e finanze di quella che è stata anche chiamata Taylorland, con capitale in Gbarnga. La questione rifugiati portò due attori regionali ad intervenire in maniera più diretta nel conflitto: Sierra Leone e Guinea – entrambe con migliaia di rifugiati liberiani sul loro territorio ed entrambe con una considerevole popolazione d'etnia Mandingo – supportarono la costituzione di un movimento liberiano per combattere contro Taylor, l'ULIMO (United Liberation Movement). Questo si evidenziò per i continui successi militari che lo portarono nel 1992 a 45 km. da Monrovia.
Il 15 ottobre 1992 Charles Taylor scopre le carte sul tavolo ed inizia l'Operazione Octopus per la definitiva conquista di Monrovia. È solo l'alleanza tra l'ULIMO, le ricostituite Forze Armate liberiane (a difesa del provvisorio Governo d'Unità Nazionale), ed il fondamentale appoggio dell'ECOMOG (cui parteciparono, anche se indirettamente, gli Stati Uniti) che si riesce a fermare l'avanzata di Taylor verso gli obiettivi della capitale. L'ECOMOG riuscì a negoziare un cessate-il-fuoco con il NPFL, viste anche le numerose perdite e le difficoltà finanziare del network di Taylor. Charles Taylor interpretò sapientemente il cessate-il-fuoco solo come una pausa di pace per ottenere nuovi equipaggiamenti e finanziamenti. Difatti, i successivi accordi per il cessate-il-fuoco furono periodicamente calpestati.
I mesi successivi si caratterizzarono per degli indebolimenti di entrambe le parti: territoriali per il NPFL e politici per le forze anti-Taylor, che si divisero in ulteriori fazioni, presentando così istanze diverse ai Round Tables per la pace. Taylor intuì, dopo sei anni, che la soluzione militare non avrebbe mai funzionato. Da abile politico, trasformò la sua posizione in credibile negoziatore e lo fece in primis nel riconoscere l'importanza della missione ECOMOG e della Nigeria stessa nel contributo alla ricerca di una soluzione pacifica duratura in Liberia. Il nuovo Presidente nigeriano (Sani Abacha) non aveva gli stessi interessi personali nella questione liberiana e manteneva un approccio più conciliatorio con il NPFL. Gli ultimi violenti scontri avvennero ancora nella tanto agognata capitale Monrovia, nell'Aprile 1996, questa volta tra le truppe di Roosevelt Johnson (leader di un movimento Krahn) e le truppe ECOMOG. Gli accordi di Abuja II furono approvati – e questa volta rispettati – nel 1996 e le elezioni si tennero nel Luglio 1997, con Charles Taylor eletto presidente da una popolazione allo stesso tempo terrorizzata e realista, consapevole che se Taylor non fosse stato eletto la guerra sarebbe ripresa e con essa la violenza di tutte le fazioni in campo.

Conclusione

In conclusione, si possono tirare le somme di un'esperienza di per sé relativamente importante, ma che già racchiudeva i germi di una destabilizzazione che riguarderà poi tutta l'Africa Occidentale. Nell'analisi di questo conflitto si è deciso di concentrare le attenzioni sul sistema patrimoniale e clientelare come fondamento socio-economico di già fragili Stati, sul pivotale ruolo economico-politico della capitale, pietra angolare del sistema, ed – infine – sul ruolo ricoperto dalla 'neo-Madre Patria', in grado di modificare il corso degli eventi grazie all'amplissima influenza politica, economica e culturale sui leader locali.
Così, la 'neo-Madre Patria' si inserisce nello sviluppo degli eventi di stati senza governo. Durante la Guerra Fredda, la logica dei due blocchi contrapposti garantiva la sopravvivenza stessa dello Stato africano attraverso un ampio sostegno economico-finanziario. Le risorse finanziarie ed economiche che provenivano dall'estero venivano poi gestite secondo una logica patrimonial-clientelare, ricoprendo dunque anche un ruolo politico. Nonostante la fine della Guerra Fredda, l'analisi del conflitto liberiano sembra confermare che il sistema non abbia subito grossi cambiamenti, perpetuandosi nelle sue logiche fondamentali. Ovvero, in uno Stato debole – se non collassato – l'obiettivo fondamentale dei ribelli, anche se spinti da sacrosante motivazioni, rimane la conquista del potere, con quantomeno la non-opposizione della 'neo-Madre Patria'. Il conflitto si trasforma in un gioco a somma-zero dove chi controlla il sistema pubblico controlla tutto. Per il controllo del sistema pubblico è necessaria, nella pratica, la presa della capitale, centro nevralgico del potere clientelare e patrimoniale.


Notes:
1 - Huband Mark, The Liberian Civil War, Frank Cass, London-Portland (OR), 1998, pg. 30.
2 - Huband Mark, op.cit., pg. 31-32.
3- Si contano le seguenti etnie, qui riportate nel loro nominativo inglese: Bassa, Dei, Gbandi, Gio, Glebo, Gola, Kissi, Kpelle, Krahn, Kuwaa, Loma, Mano, Mandingo, Mende, Vai e gli 'Americo-Liberians', discendenti degli schiavi liberati.
4 - Dokie è stato ex-ministro per lo sviluppo rurale per Doe. Come Charles Taylor fu parte di una 'epurazione' interna e – dopo che abbandonò gli uffici – iniziò il piano per far cadere Doe.
5 - Huband Mark, op.cit., pg. 81.
6 - Huband Mark, op.cit., pg. 191-194.
7 - Per una breve e accurata descrizione del NPFL si veda Duyvesteyn Isabelle, Clausewitz and African War – Politics and strategy in Liberia and Somalia, Frank Cass, London-New York, 2005, pg. 25-27. Per una più lunga, dettagliata e giornalistica storia di Charles Taylor e della costituzione del NPFL si veda Huband Mark, op.cit., pg. 1-62.

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